Rimandata

La situazione mondiale è in costante mutamento e, come sta accadendo per tutto gli ambiti Culturali e Artistici, ogni nostro evento è sospeso e rimandato a nuove date che saranno definite in base all’evolversi delle decisioni governative.
Roma Fotografia continua a lavorare per rimodulare gli appuntamenti di Roma Fotografia 2020 EROS e progettare i nostri prossimi eventi.
#LaCulturanonsiferma, ma raddoppia I suoi sforzi, la sua creatività, i suoi talenti per far fiorire la bellezza ovunque ed offrire, in modo eclettico, sostegno e svago così come suggerito dai massimi organi istituzionali e del settore.
Riprenderemo il nostro viaggio.
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C’è un piccolo magico sortilegio contenuto nelle immagini di questa mostra.
Esse rivelano la rappresentazione esteriore di un gruppo di donne, e una parte della vita interiore di milioni di italiani.
Ovviamente, prima di tutto questo, le foto raccontano altre storie. La prima è nota, ed è
convenzionale: si tratta di immagini molto belle, di donne che – quando la cinepresa o la
macchina fotografica le fermò in posa – erano considerate molto belle. E di più: considerate meritevoli di uno speciale culto, insieme esclusivo e popolare, rasente l’ottusità e in grado di toccare corde profonde. Questo culto, questa speciale epifania, andava e va ancora sotto il nome di ‘divismo’. Ed è bene ricordarlo, esso ebbe in Italia la sua prima manifestazione cinematografica. Prima che in America, prima che in Francia, nei paesi scandinavi o in Oriente, l’Italia produsse un corpo di attrici seguite e adorate da un pubblico pagante. Prima che Hollywood sviluppasse scientificamente lo star system, il cinema italiano aveva un suo sistema di dive. E incidentalmente, produsse anche il primo kolossal della storia, Cabiria. (E un giorno si dovrà scrivere una storia dell’audiovisivo italiano come davvero primario nel mondo. L’Italia che ‘inventa’ le dive, i kolossal, con la più importante esperienza europea di cinema di propaganda, l’Istituto Luce; con l’epocale rivoluzione estetica del Neorealismo italiano; con Cinecittà; e un sistema televisivo tanto perfezionato da portare addirittura il capo di una televisione a capo del Governo. L’Italia da Paese del Melodramma diventa il Paese dello Schermo).

Queste foto sono quindi anzitutto un documento storico di una storia rilevante.
Un’altra percezione immediata e convenzionale è che si tratti di immagini belle, affascinanti – e un po’ distanti. Costruite con pose sicuramente artistiche, con uno stile e un’estetica raffinata, ma a volte lontana dai nostri canoni. Esotiche, per non dire a volte curiose, o buffe. Immagini apparentemente di una bellezza oggettiva e ferma, lontana, come potrebbe esserlo una fila di luminose statue greche. È qui che vanno guardate più a fondo. Queste fotografie e lastre sono momenti fermi di un flusso in movimento. Quel flusso sono i film, il cinema, di cui queste dive erano le stelle totali, e di cui non furono solo ‘le attrici’.
Esse furono pioniere, inventrici, creatrici. Occorre andare alla radice del tema: il cinema muto. Le protagoniste in carne di quei film lavoravano per un cinema che non aveva parole, cioè non aveva testo, scrittura, sceneggiatura, dialoghi. Quasi del tutto incomprensibile alla nostra percezione di oggi, esse furono portavoce di pellicole che non avevano parola udibile, ma che come i film e le serie che vediamo oggi (pieni di discorsi, di dialoghi serrati, di video e audio) erano ricchi di storie e significato.
A portarli erano loro, le attrici, le dive. Per farlo non disponevano che di un piccolo
soggetto, di qualche raro cartello scritto, e di quel poco essenziale che poteva offrir loro il profilmico, il campo delimitato dall’inquadratura. Ma che era tutto quel che a loro bastava: gli occhi, la bocca, le mani, i capelli, un vestito.
Con questi elementi scrissero i loro film, come farebbe uno sceneggiatore: con emozioni,
sentimenti, colpi di scena, rapporti tra personaggi, passioni.



Vanno considerati da questa prospettiva i gesti e le pose, le mimiche che oggi, cent’anni dopo, tanto ci affascinano, incuriosiscono, fanno sorridere. Che ci fanno sentire la distanza del tempo. Quegli occhi serrati o sospesi, le bocche spalancate nel terrore, quei principi di svenimento, quei sorrisi desideranti. La posizione delle pupille di Lyda Borelli è un’atmosfera.Gli occhi incredibilmente liquidi di Pina Menichelli cosa sono, se non un paesaggio? Se non pittura, scenografia da film. Il taglio delle labbra di Francesca Bertini esprime sarcasmo e complicità, è già esso stesso un dialogo – con un uomo, con una classe sociale, dentro una peripezia da superare. Le mani di Eleonora Duse – la più grande coreografa di mani di tutto lo spettacolo del ‘900 – sono una partitura che disegna spazi. Sono il disegno di una messinscena. E gli spazi architettonici sono quelli disegnati dai loro abiti – con la cura di un set designer di oggi – o dalle loro chiome. Quanto alla consapevolezza delle luci e di come cadevano sui loro primi piani e sui loro corpi, non c’è nemmeno da congetturare di quanto fosse elevata.
Queste foto vanno osservate tenendo questo a mente: che in un cinema senza parola, ma già dotato della sua innata capacità di sintetizzare tutte le arti preesistenti, la scrittura, la poesia, la musica, il teatro, la pittura, la scenografia…. queste attrici sono il corpo su cui tutte queste tecniche passano. Sono loro a scrivere il sottotesto del film.
Luigi Pirandello ha scritto pagine tra le sue più acute sul rapporto tra cinema e attore,
descrivendo la distanza dei corpi reali sulla pellicola, così presente invece nel teatro. Ebbene queste foto ci raccontano come le emozioni del cinema muto passassero sui corpi di queste grandi artefici. E ci raccontano come la loro opera di sperimentatrici e avanguardiste abbia contribuito alla sintassi del moderno cinema.
Un fatto commuove: esse furono pioniere e creatrici di un’arte fragile. Questa durò
pochissimo, come mai forse accaduto a un’arte. Appena due decenni, gli anni ’10 e ’20. Poi capitolò, schiacciata dal peso de Il cantante di jazz, il primo film parlato, anno 1927, l’avvento del nuovo cinema sonoro. Lì arrivò la parola, e con essa gli occhi e le bocche poterono spalancarsi meno, i corpi gridare più piano.
Ciò non significa che l’opera di queste dive non sia stata compresa e non abbia avuto dei
prosecutori. Non la si troverà forse nei grandi attori del cinema classico, né nel grande cinema realista. Piuttosto alcuni gesti innaturali, certe espressività in contropiede, certe convenzioni e dettagli eccentrici, parlano la stessa lingua di queste muse mute. Le possiamo ritrovare all’improvviso nelle capriole attoriali di un Brando, nell’inarcatura selvaggia delle sopracciglia di Jack Nicholson. Nelle floreali esplosioni di Carmelo Bene. E plasticamente, nella più grande delle dive, Anna Magnani, che di quel cinema mutua e dissotterra la carica di eros, pathos, violenza e orgoglio.
La ricerca delle dive del Muto libera nuove energie soprattutto agli interpreti dalle traiettorie di maggior eccentricità. Il cinema di quegli anni sintetizzava voracemente le altre arti, fondendole in una novità sperimentale e poetica. Ma come noto un’altra disciplina nasceva coeva e cammina parallela al giovane Cinema, la Psicanalisi. Sono pressochè infiniti i passaggi e gli scambi tra i due campi, e un fiume di luoghi e immagini della psicanalisi va a riempire le pellicole. È qui che le dive italiane del muto entrano nell’intimo della loro platea. Con il lavoro di scrittura col corpo, esse iniziano quell’opera fantastica per cui il cinema diventa materia dell’immaginario del pubblico,
forma per i suoi sogni. Le dive del muto incarnano i sogni segreti degli spettatori – uomini e donne – italiani.

Era stato un talento critico del calibro di Antonio Gramsci ad avvertire con un fulminante
incipit ‘In principio era il verbo… No, in principio era il sesso’ quanto la carica espressiva di una Lyda Borelli ponesse uno sconfinamento pericoloso tra la sfera sessuale e quella del raziocinio.
E un altro geniale pensatore e scrittore, Alberto Savinio, avvertiva dai guasti estetici del
‘dolorismo’ e del ‘dusismo’ – cioè dei modi della Decadenza letteraria e teatrale con cui alcune delle nostre dive irrompevano sulle scene – nell’influenzare gli spettatori. Sono solo due esempi di osservatori acutissimi che vedono – ancorché dialetticamente – queste attrici popolari entrare nella sfera del pensiero e dell’immaginario pubblico.
Gli italiani con il cinema per la prima volta vedevano in quegli anni sullo schermo immagini in movimento dei propri desideri e paure. Vedevano amori drammatici e sofferti, gelosie, attrazioni dirompenti, perdite. È un passaggio fulmineo: d’ora in avanti quelle immagini saranno la forma plastica delle pulsioni degli spettatori. Le dive incarnano fatalmente pezzi dell’inconscio degli italiani, i quali trovano in quei volti e nel turbinio melò di quelle storie, il correlativo visivo di quello che vivono, o che vorrebbero vivere. D’ora in avanti la vita interiore del Paese userà anche queste immagini per rappresentarsi. E quelle immagini libereranno la possibilità per gli spettatori di sperimentare e scoprire emozioni. Il Cinema è la loro nuova educazione sentimentale.
È ovvio, fortunatamente, che oggi quando noi viviamo un sentimento non ci rappresentiamo nei panni di Leda Gys o Lyda Borelli. Ma i nostri sentimenti e il nostro personale sentimentalismo, che troviamo così vero e pieno di poesia, o di sincero dolore o di nostalgia, ha avuto il suo racconto visivo in quei film. E la sua prima stilizzazione, così elegante, geometrica, folle ma anche molto, molto consapevole, è nata sui volti e nelle pose che queste fotografie straordinariamente eleganti ci mostrano.
Perciò nel vederle proviamo non solo ammirazione e rispetto, ma forse anche una tenera complicità.
Per questo, le dive qui ritrovate, restano dentro di noi, immortali.

Ideata e realizzata da Istituto Luce Cinecittà
A cura dell’Archivio Storico Luce
Testo Marlon Pellegrini


Direttore Archivio Istituto Luce Cinecittà
Enrico Bufalini

Responsabile del progetto
Maria Gabriella Macchiarulo

Digitalizzazione e ricerche
Emiliano Guidi

Restauro fotografico e controllo qualità
Paola Angelucci

Inaugurazione 25 marzo 2020 dalle ore 18.30 – Ingresso libero
Palazzo Merulana Via Merulana 121.

Modalità di partecipazione

Dal 26 marzo al 4 aprile a Palazzo Merulana, via Merulana 121.

Orari: Da mercoledì a lunedì, dalle 10.00 alle 20.00
Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura del museo

La mostra è visitabile con biglietto d’ingresso ordinario di Palazzo Merulana.

  • Intero 10.00 €
  • Ridotto 8.00 € (Giovani under 27, adulti over 65, insegnanti in attività, possessori di Cartax2)
  • Gratuito (bambini under 7, un insegnante ogni 10 studenti, un accompagnatore ogni 10 persone,
    disabile con accompagnatore, possessori Palazzo Merulana Pass e Palazzo Merulana Pass Young)

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  • BIGLIETTO “EROS CARD”
    15.00 €

Questo biglietto consente l’accesso illimitato dal 23 febbraio al 4 aprile alla Collezione Cerasi, alle mostre di Roma Fotografia 2020, e ai talk in occasione di RF2020, con la possibilità di prenotare il proprio posto agli incontri (nei limiti della disponibilità prevista).
Per maggiori informazioni: info@palazzomerulana.it | + 39 06 39967800